Onnipotenza e impotenza: un binomio pericoloso per le professioni d’aiuto
Gli elementi in gioco nel lavoro con le persone
Mi sembra doveroso partire con una premessa, ovvero che, indipendentemente dalla specificità del lavoro, le professioni d’aiuto richiedano all’operatore un investimento prolungato nel tempo, che coinvolge sia l’aspetto tecnico che quello personale.
Lavorare in campo educativo e assistenziale, è molto delicato perché è necessario conciliare la dimensione della realtà con quella emotiva e relazionale che ingaggia inevitabilmente la sfera intima dell’operatore. Non sempre i percorsi formativi attrezzano il professionista degli strumenti idonei per individuare e gestire gli aspetti emotivi più critici del proprio lavoro.
Conoscere i rischi del mestiere, può essere un primo passo per proteggersi dalle loro conseguenze.
L’aspetto del “limite” e il senso di impotenza
Uno degli aspetti più faticosi del lavoro è legato alla gestione della frustrazione, ovvero, al senso di impotenza che si prova di fronte alla cronicità di certe situazioni che faticano ad evolvere o mutare, nonostante gli sforzi e gli interventi profusi.
Il limite contro cui si scontra l’operatore è connesso alla natura stessa della difficoltà di cui è portatore il destinatario del servizio, ma può nascere anche dalla discrepanza tra gli obiettivi prefissati e ciò che la persona desidera davvero per sé stessa.
Adattarsi al “ritmo” che impone il contesto a cui ci si rivolge è difficile, richiede uno sforzo di rielaborazione dei progetti e una tolleranza rispetto alla possibilità di fallimento. Il professionista è chiamato a mettere a fuoco il reale problema, i punti di forza e di debolezza della persona ai cui si rivolge. Affinchè questo sia possibile è necessario che trattenga l’impulso a vedere il problema e la sua risoluzione con i propri occhi e le proprie risorse. Occorre immergersi nel mondo dell’altro per non scavalcarlo e per non creare, involontariamente, ulteriori sofferenze.
L’onnipotenza come reazione difensiva alla frustrazione
La fatica di questa modulazione può portare a rifugiarsi, in modo difensivo, in una lettura del problema “miope”, che nega l’altro da sé. Senza ascolto e relazione autentici ci si difende da ciò che si teme: il limite e il fallimento. L’operatore ricerca, in questo modo, una gratificazione dalla percezione, del tutto illusoria, di controllo e di autoefficacia. Si sente forte e infallibile: onnipotente.
L’aspetto difensivo è un elemento che deve essere individuato con estrema urgenza. Essere consapevoli di queste dinamiche permette di tutelare la qualità del lavoro assistenziale e di accogliere la reazione difensiva come un segnale di stanchezza dell’operatore di cui è necessario prendersi cura.
I rischi per l’operatore
L’onnipotenza, oltre ad essere un fattore di criticità nell’intervento che si offre ai propri destinatari, può esserlo nei confronti dell’operatore stesso. E’ una dinamica che porta a desensibilizzare gli aspetti di sofferenza, esponendo la persona a sfide sempre più grandi, senza che ne sia consapevole. Il rischio è quello di arrivare ad uno stato di esaurimento di energie e demotivazione, come nelle situazioni di “burn-out”, con conseguenti implicazioni negative che coinvolgono la qualità del lavoro e la salute psico-fisica dell’operatore. (Per maggiori approfondimenti ti invitiamo a leggere l’articolo Il burn-out:cos’è e come prevenirlo)
Il lavoro di èquipe come risorsa ed elemento di sviluppo del singolo
La complessità e la multi-problematicità che appartiene al lavoro con le persone richiede una condivisione tra più attori in gioco, pena il rischio di “soffocamento” dell’operatore singolo.
L’essere umano è per natura un animale sociale e necessita di potersi raccontare all’interno di una relazione forte e rassicurante.
L’èquipe può essere il luogo in cui il punto di vista del gruppo può portare ad una lettura del problema più articolata, realistica e depurata da aspetti personali. E’ in questo modo, che una corretta analisi iniziale si offre come base indispensabile per la costruzione di una strategia di intervento misurata, in cui contemplando il limite, ci si attrezza per gestirlo.
Infine, la ricerca di un sostegno dalla rete di colleghi e/o da figure specialistiche come quella dello Psicologo, permette all’operatore di trovare ascolto e aiuto rispetto ai propri vissuti di fatica e sofferenza. Parlare di sé nella relazione con i propri destinatari diventa, in questo modo, occasione di crescita e strumento attraverso cui superare momenti di impasse lavorativa. L’impotenza diventa un codice di senso attraverso cui comprendere ciò che sta accadendo tra me e il destinatario: parla della sua storia, delle sue difficoltà, ma anche della relazione che ho costruito con lui e del mio rapporto con il senso del limite. (Ti invitiamo alla lettura dell’articolo La supervisione per le professioni di cura: che cos’è?)
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Scritto con la collaborazione di
Dott. Sosa Gilser Adan Alfredo
Psicologo Tirocinante